Credere alla peste

Molti anni fa, un’amica mi chiese di fare da madrina a sua figlia.
Poiché non mi piace mentire, ancor meno in un luogo sacro, passai la notte a recitare il Credo e chiedermi, una proposizione dopo l’altra, se ci credevo o no.
Ora mi trovo in una condizione che sotto certi aspetti somiglia a quella. Non sono psicoanalista, e non sono sempre convinta delle soluzioni offerte dalla psicanalisi. È vero che la psicoanalisi è molto cambiata da quando Freud e Jung sbarcarono in America a ‘portarvi la peste’: nuovi pensatori hanno sconvolto il paesaggio edipico e sconfitto di nuovo la Sfinge, e tuttavia sospetto a volte che le loro risposte fiutino la stalla.
Ma questo non succede nel libro di SarantisThanopulos. Anche se alle innumerevoli questioni che l’attualità pone davanti ai suoi e ai nostri occhi, Sarantis risponde da psicoanalista, l’uso che fa di questo strumento è lo stesso che farebbe un contadino con la zappa che rivolta la terra. L’umidità, i vermetti e le radici che vi trova, appartengono alla zolla, non all’utensile.
In realtà, qui si tratta di ben altro che di vermetti e radici: i fatti che Sarantis narra sono spesso crudeli, incomprensibili, dolorosi. Avvengono negli inferni che ci circondano, che ci portiamo dietro. Il ritardato mentale che la Corte del Texas manda a morte sulla testimonianza della moglie del complice che avrà così la vita salva; il padre che dimentica il figlio di due anni in macchina lasciandovelo morire; la castrazione inflitta ad Alan Turing da un tribunale inglese perché era gay; i due ragazzi che uccidono un coetaneo scelto a caso, per vederlo morire (ripetendo il gesto dei due studenti americani che uccisero un compagno di 13 anni per sfidarsi a vicenda): le violenze, gli stupri, i soprusi… Questo è il mondo che con pazienza Sarantis ci pone davanti agli occhi, per districarlo insieme a noi come una mano serrata di cui aprirebbe una per una le dita.
In realtà, la psicoanalisi opera come una specie di ‘acchiappafantasmi’, che permette di orientarci nel nostro immaginario, di sentirci meno spaesati e spaventati.
Prendete ‘Il maestro e l’allieva’, dove un professore di mezza età ha rapporti sessuali con una giovanissima allieva consenziente. Dopo aver allontanato (dagli occhi del lettore) il fantasma della pedofilia, S.T. gli sostituisce quello della madre seduttrice, che è il fantasma nascosto comune ai due amanti. Per capirlo meglio, S.T. torna al caso di Dora, la paziente su cui Freud fallì il trattamento perché non riconobbe che per la paziente il fantasma che operava era la madre e non il padre.
A volte è proprio la mancanza di fantasmi la desolata risposta. Come nel caso del copilota tedesco che per suicidarsi fece schiantare l’aereo che pilotava contro una montagna della Provenza, uccidendo 150 persone. Confrontando questo gesto con quello dei jihadisti, quel che qui appare non è né la passione né l’odio, ma un’inerzia psichica. «Non c’è via di fuga che non finisca nel muro di inerzia psichica che ha preso il posto della vita».
Questa inerzia psichica sembra aver preso il nostro mondo e tenerlo in una morsa di tetra violenza, come se la mancanza di senso avesse avvolto la terra di un manto nero.
E proprio i fantasmi sono lo strumento con cui la psicoanalisi affronta l’insensato. Il fantasma del padre, della madre, del desiderio, della perdita… fantasmi che la parola psicoanalitica riempie piano piano di una materia a sua volta fantasmale, però accogliente, che fa del vuoto apparente la nostra casa.
Tutte queste storie, alla fine, ci dicono come sia terribile non riconoscere nel mondo e nella vita la propria casa. Come sia importante, il più importante di tutti, il senso dell’ospitalità, soprattutto nei confronti dei fantasmi, i nostri e gli altrui.

Il brano riportato è incluso nella Postfazione al volume “Verità Nascoste” di Sarantis Thanpulos, pubblicato nella nostra collana Exquis.