Dalla parte di Circe

[…] La vita di Giordano Bruno, esploratore dell’ignoto, è un viaggio verso la luce (“fendo i cieli e a l’infinito m’ergo” dice Bruno nel De l’infinito, universo e mondi), un rischioso attraversamento del regno delle ombre, passaggio obbligato per l’uomo che paga così i limiti della sua conoscenza. E il viaggio si caratterizza come un implacabile processo di demolizione le cui rovine tagliano i ponti con il passato e impediscono di tornare indietro, ma anche di selezione di ciò che ancora può essere utile per il viaggio. «Sono amputate radici che germogliano, son cose antique che rivegnono, son veritadi occolte che si scuoprono: è un nuovo lume che dopo lunga notte spunta all’orizonte et emisfero della nostra cognizione, et a poco a poco s’avicina al meridiano della nostra intelligenza».

Ma il Nolano, che spesso ama presentarsi come un personaggio di nome Teofilo, cioè amante/amico di Dio, ha la vista lunga ed è animato da un indomito furore. Egli sa indovinare il futuro sempre sotto la forma di un divenire di qualcosa che è già accaduto ma che si riveste di nuove intensità nell’attrito con la storia, cerca di tracciare un sentiero verso un piano di immanenza assoluta o di assoluta immanenza per pensare l’infinito e per tracciare le linee rivoluzionarie di una nuova antropologia. L’infinito è il nome che Bruno dà all’unità del molteplice, all’Uno che è immediatamente molteplice, che è differenza in atto, e a un molteplice che è immediatamente Uno.

Il suo aderire al copernicanesimo segna la rinuncia, da un lato, alla centralità del soggetto, alla sua pretesa di essere, con la sua coscienza, il centro del mondo (esercitando la dittatura dell’io trascendentale), e, dall’altro, al pensiero della finitudine che fa della filosofia una rivelazione della morte, e non, come dovrebbe essere, della vita, della “vita eterna”, per dare voce e visibilità ad un’ontologia del vivente, a una filosofia della Natura che ritaglia un nuovo spazio per l’attività dell’uomo configurantesi come ricerca della verità che scaturisce dal processo. Teofilo non è l’amico del dio che opera come causa esterna muovendosi sul filo del tempo, ma è amico di Cusano e dei suoi concetti di esplicazione e di complicazione, di Plotino e della sua concezione dell’Uno come differenza in atto e di tutti quei pensatori che ritengono compossibili l’idea dell’infinità e uniformità del cosmo e la libertà, sul piano etico (come ben vide Eugenio Garin) dell’homo faber, dell’uomo costruttore di civiltà, dell’uomo che, come tutti gli enti intramondani, è aperto alla contingenza, alla piena realizzazione e attualizzazione del possibile.

L’uomo non è nella luce solare di una centralità che più non gli appartiene, ma nell’ombra di un’ambiguità che è propria della sua condizione, sospesa tra il tempo e l’eternità, tra il sensibile e l’intellegibile. Sua è la responsabilità di mantenere l’universale interconnessione degli enti naturali e di rispettarne la dignità. La magia, nel Rinascimento, è lo strumento più potente di cui l’uomo può disporre per conoscere la natura nelle sue vicissitudini. Essa opera su un piano di un’ontologia qualitativa che, prima di porsi come funzione ordinatrice, di messa in forma del reale, è scoperta delle forze che regolano l’universale armonia (simpatia) di tutte le cose e vigila sulla possibilità sempre presente dell’irruzione del negativo che si configura come disordine, caos, come rottura dell’intreccio essenziale tra forme e vita.

La magia, come in molti hanno visto (si veda l’interpretazione di Michele Ciliberto) è il terreno che, proprio perché non è limitato da precisi confini concettuali, consente di seguire percorsi vettoriali solo apparentemente contrapposti. La loro compossibilità si traduce in una inedita cartografia che consente di perseguire contemporaneamente la strada della gnoseologia e quella dell’ontologia, delineando una topologia stratificata che si modella sull’esperienza nella ricchezza delle sue determinazioni, senza schiacciarla in un unico ordine categoriale, ma seguendola nei suoi percorsi sotterranei che ora lasciano emergere la natura, ora lo spirito, ora l’immanenza, ora la trascendenza, ora l’identico, ora il diverso.

In altre parole la magia è il terreno su cui diventa possibile ricomporre quelle che, a una considerazione superficiale, appaiono come antinomie. Ma questo perché la magia, nel periodo compreso tra il 1486, anno in cui Ficino e Pico diedero la prima definizione di magia, («[Magus] quasi quidam agricola est, certe quidam mundicola est» scrive Ficino nel De vita e Pico, nell’Oratio de hominis dignitate espliciterà l’immagine paragonando l’agricoltore che lega le viti con l’olmo al mago che lega la terra al cielo, le cose inferiori alle qualità e alle virtù superiori. e il 1589, anno della pubblicazione dell’opera completa dei Magiae naturalis II, XX di Della Porta, (In quest’opera Della Porta riprenderà dal cap. LII del De vanitate scientiarium et artium di Agrippa, la definizione di magia del mago tedesco, che era più limitativa di quella fornita nel De occulta philosophia, dove si parlava di magia come di «absoluta consummatio» di tutte le scienze. Qui si parla, invece, di «portio philosophiae naturalis», ma sostanzialmente restiamo nel medesimo ambito semantico), passando per Agrippa, il procedere degli studi e delle scoperte che seguirono eventi di portata epocale (l’arrivo di molti studiosi greci che seguì la caduta di Costantinopoli nel 1453; la diffusione del pensiero arabo conseguente alla espulsione degli Ebrei dalla Spagna; la diffusione degli studi filologici di Valla, Poliziano, Erasmo; la diffusione dell’atomismo di Lucrezio; i nuovi metodi di classificazione introdotti da Raimondo Lullo; le traduzioni delle opere di Platone e del Corpus hermeticum di Marsilio Ficino) avevano fatto riaffiorare una vena solo apparentemente sepolta durante il Medio Evo, che rimandava a un’antica sapienza, a un’antica tradizione teologica, una «prisca theologia», come la definì Ficino che collegava Mosè, la cabala, l’ermetismo, il pensiero Arabo, Platone (inizialmente conosciuto solo nelle forme del Neoplatonismo), che sembravano appagare quelle ansie di rigenerazione della vita spirituale mortificate dalle Istituzioni e in primo luogo dalla Chiesa. Qui è da vedere il legame profondo tra magia e rigenerazione morale e religiosa che finirà per accomunare personalità anche diverse, e tra queste sicuramente Bruno, ma tutte impegnate in un progetto teso a riarmonizzare il mondo, a riscoprire i fondamenti autentici della vita […]

Brano tratto dall’introduzione a “Cantus Circaeus