Il nome innanzitutto…
Agrippa von Nettesheim nacque a Colonia il 14 settembre 1486. Il suo nome completo era Arrigo (o Enrico) Cornelio Agrippa (Corneilles era il nome francesizzato della sua famiglia) e Agrippa era il soprannome assunto dal padre in onore della città di Colonia (in latino Colonia Agrippina). L’aggiunta von Nettesheim (Nettesheim è un paese a Nord di Colonia) è dovuta all’ambizione di Agrippa di fregiarsi di un titolo nobiliare, sulla cui autenticità vi sono però forti dubbi.
Dopo un percorso di studi, prima impartito dallo stesso padre, poi svolto presso le scuole della sua città, si iscrisse all’Università di Parigi e di qui iniziò il lungo peregrinare che caratterizzerà tutta la sua vita.
Egli avvertì subito la necessità di creare, sul modello dell’antichità, un cenacolo di amici, una società segreta di adepti, con cui condividere i suoi esperimenti ispirati all’ermetismo e alla magia. Ben al di là del classico percorso di riscoperta dell’humanitas, proprio dell’Umanesimo e del Rinascimento, tale processo di formazione, di purificazione e di ascesi dell’uomo, era fondamentalmente ispirato all’idea di magia, da sempre al centro della ricerca di Agrippa.
Nel 1509 Agrippa si stabilisce a Dole, capitale della Borgogna, per studiare l’opera del filosofo tedesco Johannes Reuchlin. In questi anni avvicina la Cabala (ebr. Qabbāllā), ne studia i rapporti col cristianesimo e col neoplatonismo, e, come Reuchlin e Pico della Mirandola impegnati prima di lui nel medesimo filone di ricerca, subisce la condanna della Chiesa: da questo momento ebbe inizio una dura contrapposizione con la Chiesa che costituirà una costante della vita di Agrippa.
A Dole cominciò a lavorare ai primi due libri del De occulta philosophia, e con esso all’idea di una magia profondamente rinnovata, che andasse oltre la semplice magia naturale e implicasse un radicale mutamento interiore e il ritorno ad un immediato contatto con il divino.
Nel 1511 Agrippa giunse in Italia dove rimase fino al 1517. A questi anni risalgono i suoi primi contatti con l’abate Tritemio che tanta importanza ebbero per la sua opera, e le sue letture e spiegazioni pubbliche del “Pimandro”, attribuito ad Ermete Trismegisto e tradotto in latino da Marsilio Ficino.
Al periodo italiano risale il primo dei suoi tre matrimoni; in questa occasione partecipò al Concilio di Pisa, indetto dal re di Francia contro papa Giulio II, a cui fu invitato in qualità di teologo, dal cardinale spagnolo Carvajal.
Dal 1518 si trasferì a Metz, oratore e consigliere stipendiato della città, dove trovò numerosi studiosi appassionati, come lui, di magia e scienze occulte, ma anche nemici nell’ambito ecclesiastico. Lo scontro con la Chiesa continuò: questa volta Agrippa fu costretto a lasciare la città e a trasferirsi a Colonia. Era il 1520. La lotta contro gli orrori dell’Inquisizione è, indubbiamente, in stretta relazione con le simpatie di Agrippa per la Riforma, almeno per l’aspetto riguardante la contestazione della corruzione della Chiesa. A Colonia, purtroppo, Agrippa poté trattenersi poco. Ritornò a Metz, dove l’anno successivo subì la perdita della sua amata moglie. Lo ritroviamo a Ginevra, nello stesso anno, ospite dell’amico Eustachio Chapuys, consigliere del Duca di Savoia e poi dell’imperatore Carlo V. Si sposò qui per la seconda volta e, spinto anche dalle urgenze familiari, si propose come medico al Duca di Savoia e, non riuscendo nel suo intento, accettò l’incarico di medico stipendiato della città di Friburgo, dove di recò alla fine del 1522.
Ma nel 1524 eccolo a Lione, sede del governo francese durante le guerre per il predominio dell’Italia, in qualità di medico personale della regina madre Luisa di Savoia. Sembrava che la fortuna cominciasse ad arridere a quest’uomo tanto sapiente, quanto irrequieto, capace di svolgere impieghi tanto diversi e implicanti conoscenze immense relative ai più diversi ambiti del sapere. Lione era anche una città vivace, frequentata da molti dotti anche italiani, cabalisti, alchimisti e studiosi dell’occulto. Ed è proprio in questo ambiente, dove restò quattro anni, che Agrippa, anche tra mille difficoltà economiche compose nel 1527 il libro molto importante “De incertitudine et vanitate scientiarum et artium”.
Nel 1528, sospettato di tradimento venne sollevato dall’incarico di funzionario della Corona e riparò ad Anversa. In qualità di medico fronteggiò coraggiosamente l’epidemia di peste che flagellò l’Europa nel 1529; in questa occasione perse anche la seconda moglie, ammalatasi del morbo fatale.
Diventò, infine, storiografo dell’imperatore Carlo V, cosa che gli consentiva di non allontanarsi dai Paesi Bassi, ma solo di dover spostare la propria residenza a Malines, dove si sposò per la terza volta.
Imprigionato per debiti, in una situazione di estrema indigenza, causata anche dal mancato pagamento del suo stipendio, si batté comunque con la consueta veemenza e riuscì, almeno, ad ottenere di essere liberato e di potersi così rifugiare a Colonia sotto la protezione dell’arcivescovo Herman de Wiede, uno dei grandi elettori del Sacro Romano Impero.
A Colonia Agrippa poté dedicarsi a scrivere la sua difesa dalle accuse di empietà e di collusione con Lutero che l’Università di Lovanio gli aveva mosso. Nacquero così l’“Apologia” e la “Querela” che furono pubblicate insieme nel 1533 a Colonia. Nel frattempo, nel 1531, era stato pubblicato il primo libro del “De occulta philosophia”.
Agrippa continuò invece per la sua strada e, pur riconfermando la sua difesa contro le accuse dei dottori di Lovanio, non aderì al luteranesimo ma assunse una posizione molto simile a quella di Erasmo.
Nel 1535 i teologi della Sorbona condannarono il “De Incertitudine et vanitate scientiarium et artium” ed Agrippa, che in quell’anno si era recato a Lione, fu fatto arrestare dal re Francesco I.
Partito per Grenoble dopo la scarcerazione, Agrippa si spense quello stesso anno. Venne sepolto nella chiesa dei frati Predicatori di questa località, le tombe furono più volte violate durante le guerre di religione, ultimo affronto mosso a questo martire della libertà di pensiero da un destino che lo osteggiò in vita per consegnarlo poi alla fama e al clamore dei posteri.
(Dall’Introduzione al “De occulta philosophia“, prossima uscita della collana Exquis)
In evidenza: ritratto di Agrippa von Nettesheim sul frontespizio del “De occulta philosophia”, 1551.