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La parte più cospicua del terzo libro del De occulta philosophia è dedicata agli angeli e ai demoni. Essi rappresentano come una stratigrafia del pensiero religioso dall’antichità all’età moderna. Sullo sfondo si staglia il progressivo allontanarsi di Dio, il suo chiudersi nella dimensione trascendente e il conseguente affermarsi dell’angelologia del libro di Daniele, e in seguito dei libri di Enoch, di chiara ispirazione zoroastriana e zurvanita, più che israelita, che attraverso percorsi sotterranei riemergerà nell’ermetismo e nella Cabala, nella religione cristiana e musulmana.
Sicuramente Agrippa rimane legato alla concezione teofanica della chiesa d’oriente più che a quella antropologica della chiesa d’occidente, pur non mancando di sottolineare il ruolo di guida e di esempio assegnato agli angeli. Esplicita è, infatti, nel capitolo XII, l’affermazione della funzione degli angeli sia all’interno di una visione dell’universo organica e intelligente che implica la cooperazione di diverse sostanze spirituali, sia come intermediari tra un Dio assolutamente trascendente e il concreto mondo della storia.
Il XVI capitolo, dedicato ai demoni (e Agrippa subito precisa che «non sono quelli che chiamiamo diavoli, ma esseri spirituali che sono così denominati secondo un termine appropriato che indica esseri dotati di comprensione, intelligenti e saggi»), ci presenta un universo ordinato e regolato da forze diverse che Agrippa distingue in intelligenze, spiriti e demoni con funzioni diverse ma con identica natura. Nel rimandare il lettore al testo che non è qui possibile riportare nella sua interezza, e che, a mio avviso, nel suo richiamarsi a concezioni diverse, introduce non pochi elementi che destano perplessità, intendo solo sottolineare i punti più controversi.
Innanzitutto le intelligenze di cui parla Agrippa non sono tutte angeli e, comunque, sono entità che presentano un’interna gerarchia, in quanto, da un lato, vi sono gli “spiriti sovracelesti”, “sfere intellettuali” che irradiano la luce divina, molto simili alle intelligenze motrici di cui parla Aristotele; dall’altro («i secondi» dice Agrippa probabilmente alludendo a un livello più basso) vi sono le intelligenze celesti (“demoni mondani”) che governano i cieli e le stelle ed hanno una complessa organizzazione interna dipendente dai pianeti e dalle stelle. In una posizione più bassa c’è la terza categoria di spiriti che distribuiscono gli influssi nel mondo inferiore e che Agrippa chiama “demoni” o, citando Origene “virtù invisibili”.
Anche i demoni presentano una complessa varietà: vi sono spiriti legati alla natura degli elementi; ai cardini del cielo; al giorno e alla notte; alla natura dei luoghi, con una stretta analogia a quello che la civiltà greca e romana chiamerà “popolo delle divinità” o “semidei”. Presenti nelle culture di tutti i popoli, essi sono mossi anche da umane passioni e sono mortali.
Quanto agli spiriti, pur essendo stati in precedenza indicati da Agrippa come un’autonoma categoria, non sono mai menzionati. Questa mancanza di chiarezza porta a pensare che Agrippa, su un tema di così grande complessità, non sia tanto interessato all’argomentazione teologica (il tema della “caduta” e degli angeli ribelli è praticamente assente, e così la differenza tra i demoni che si muovono nel mondo dominato dalle Moire, da Ananke, dall’ordito cosmico, e gli Angeli legati a una prospettiva escatologica, al mondo del puro Nous, alla impossibile possibilità di liberarsi da Ananke) né a riportare l’aspro confronto che su questi temi si determinò nel mondo cristiano (natura mortale o immortale; essenze spirituali o corporee ecc.), quanto a stabilire le coordinate entro le quali potrà operare con efficacia la magia cerimoniale. Ciò che a lui interessa, insomma, è la conoscenza di questa dimensione spirituale entro cui si muovono entità che sono personificazioni di forze magiche con polarità opposte, che hanno la stessa sostanza dell’universo, la cui evocazione, se correttamente praticata e finalizzata, è un’operazione che non ha nulla di diabolico. L’attenzione è focalizzata dunque sulla conoscenza della natura di queste forze, sulle loro funzioni, sulle loro distribuzioni, più che sulla dimensione cui appartengono, su quel mundus imaginalis di cui essi sono figura e testimonianza. Ecco allora che il proliferare di enti impercettibili ai sensi, di spazi animati da angeli, demoni, geni, dei e pseudothei, eroi divinizzati ed esangui simulacri, in un gioco di dissonanze che è il riflesso del drammatico interrogarsi dell’uomo, il labirinto, il gioco di specchi attraverso cui l’uomo compie il suo nostos, in compagnia degli angeli/demoni spesso dis‒tratti, fuorviati, offuscati dal contatto con la nostra ignoranza. Ma quest’apocalissi, la possibilità di questa catastrofe non è un tema affrontato da Agrippa. La seduzione dell’angelo da parte dell’uomo, già presente nella demonologia islamica (la rivalità tra Iblīs e Adamo), vagamente allusa nel Libro di Enoch, nel Libro dei Giubilei, costituirà uno dei temi, invece, dei secoli successivi, ad esempio della ricerca pittorica di Klee e della poesia di Rilke.
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Brano tratto dall’Introduzione al De occulta philosophia vol. III
In evidenza Pieter Bruegel il Vecchio “La caduta degli angeli ribelli” (1562).