[…] La storia dell’idea di anima del mondo è lunga e complessa e non è questo il momento di ripercorrerla se non indicandone sommariamente le tappe più importanti, prima che essa si complicasse in mille rivoli nell’interpretazione islamica e, soprattutto, dopo l’introduzione di elementi aristotelici che finivano per privarla della sua originaria funzione di mediazione ontologica tra il mondo archetipico e quello terreno e dopo la sua identificazione cristiana con lo Spirito Santo (Teodorico di Chartres, Guglielmo di Conches fino allo stesso Abelardo), che pure diede luogo a una disputa teologica perché apriva le porte a una interpretazione panteistica, come denunciò Scoto Eriugena.
L’idea di anima del mondo rimanda al mito cosmogonico del Timeo, come noto, e al commento di Calcidio che l’aveva arricchito di materiali documentari relativi alle antiche culture (Calcidio la definisce natura rationabilis carens corpore). Essa appare come il principio di unificazione del molteplice di cui è costituito il mondo e di collegamento con il mondo degli archetipi, ponendosi come mediazione fra l’identico e il diverso. Su questo tema si era innestata la speculazione di Plotino, il vero filosofo dell’anima, che ne fece il momento di rapporto tra il cosmo e il regno dell’intellegibile, prossima, da un lato, all’intelletto, e, dall’altro, nella parte inferiore, alla materia.
L’anima è ciò che mantiene il rapporto tra il cosmo e il regno dell’intellegibile, e dunque all’Uno. Per un verso l’anima è prossima all’Intelletto; nella sua parte inferiore è anima del mondo: contiene il mondo e lo trattiene dal dissolversi resistendo alla tendenza della materia alla dispersione. Essa introduce la dimensione del tempo nel mondo mutevole (Enneadi, II, 3, 17) e, insieme, un dinamismo nella realtà materiale che valorizza il mondo, come, peraltro, era riconosciuto anche nell’Asclepius, opera attribuita a Ermete Trismegisto. Lo stoicismo la indicò con il termine logos. Dopo Boezio che riprende i temi del Timeo platonico, specie nella nona rima del III libro del De consolatione philosophiae, l’idea di anima del mondo si riveste di nuove forme, assume caratteristiche diverse e lo stesso nome scompare. È merito di Agrippa averlo recuperato per così dire nella sua purezza originaria – insieme a Ficino che, pure, le diede il nuovo nome di “spirito universale” – e averne proposto anche una spiegazione razionale. Nel LVI capitolo egli introduce l’idea che l’anima del mondo, diversa e superiore alle singole anime, ma presente in ciascuna perché ogni singola parte contiene il tutto, sia il principio unitario e intelligente che vivifica l’intero universo facendone non un aggregato casuale, un assemblaggio di parti staccate. Qui Agrippa sembra sostenere che l’anima del mondo e le singole anime siano realtà distinte, mentre nella filosofia di Plotino (Enneadi, I, 1, 8) l’unica anima del mondo è suddivisa tra le varie anime. È evidente che Agrippa, parlando di anima del mondo, si riferisce alla terra e agli esseri viventi e, in qualche modo, lascia intendere che l’origine della vita è in quest’anima e non in quelle del mondo celeste e lo fa con concetti ripresi da Aristotele. C’è, dunque, un’anima del mondo celeste direttamente derivante dalla suprema causa formale, c’è un’anima del mondo terreno e degli elementi che regola il pulsare della vita sul nostro pianeta, e poi ci sono le anime individuali dei singoli esseri umani. Tutte queste anime sono dotate di vita, sensibilità e ragione e anche di intelletto e mente, virtù che rilucono maggiormente nei gradi più elevati: Alla generale animazione del mondo contribuisce anche lo spirito cui Agrippa fa solo un cenno, rimandando a quanto aveva detto nel I libro. Anche noi facciamo la stessa cosa rimandando alla nostra introduzione alla magia naturale lì esposta. Vogliamo solo ricordare che la concezione di Agrippa rimanda più all’insegnamento di Sinesio (De somniis) che alla concezione cristiana dello pneuma e risente del pensiero degli stoici, oscillando quindi tra la concezione monistica di questi ultimi (l’anima del mondo che pervade tutto l’universo finisce per annullare l’idea stessa di materia), e il dualismo insito nei neoplatonici e anche in Sinesio. Quest’ultimo, allievo dell’abate Tritemio, che tanta importanza ebbe nella formazione di Agrippa, riprende l’idea di un tertium quid, veicolo e portatore dell’anima (ochema), che ha un corpo sottilissimo (corpo astrale, termine accettato anche dal Ficino) e di natura eterea che collega il mondo degli archetipi e quello della materia, con la mediazione dell’anima (pneuma) e che si configura come una forza vitale, come un’energia […]
Il brano riportato è tratto dall’Introduzione al “De occulta philosophia, vol. II, la magia celeste“