Spostamento/Verschiebung
La grande teoria simbolica freudiana si articola intorno a due funzioni fondamentali: la condensazione e lo spostamento. Se il padre della psicoanalisi non assegna all’inconscio una natura solo linguistica (come farà invece Lacan), tuttavia, quando dal fondo magmatico dell’essere emerge qualcosa, esso prende la forma di un fenomeno linguistico, trattato e interpretato con gli strumenti dell’analisi letteraria. È così che la condensazione viene riassunta come uno speciale caso metonimico e lo spostamento viene rubricato quale evento metaforico. Questa concessione alla traduzione linguistica di un fenomeno psichico – di per sé difficilmente afferrabile – è il precedente che consente un altro mutamento di campo: dallo psichico al linguistico, dal linguistico al visuale.
Se la condensazione trovava nel totemismo indigeno, nell’art nègre e nel cubismo parigino una soluzione originale al problema della rappresentazione – rendendo raffigurabile il cosmo intero mediante la sintesi dei suoi elementi e la contrazione dello spazio – questa concentrazione estrema di senso porta con sé la necessità di uno spostamento. Quasi per una sorta di economia dello spazio, o di equilibrio tra segni e riferimenti, alla condensazione corrisponde simbolicamente lo spostamento. Non è perciò inutile far notare che, come lo spostamento è attività intrinsecamente legata alla rappresentazione visiva del mondo, così l’intera arte figurativa è pratica che comporta la sostituzione di entità ideali con elementi materiali. Nel gioco pittorico dello “stare per” la regola aurea della metafora rende costantemente avvicinabile l’infinitamente eterogeneo. Eppure, una tale pratica figurativa dell’invisibile, pur essendo al servizio del desiderio lascia scoperto un manque incolmabile. Lo scollamento tra il raffigurato e la volontà di figurazione (tra significante e significato, potremmo dire seguendo la linguistica strutturalista) è spesso ricapitolato da un aspetto minimo quale la distanza tra il titolo di certe opere pittoriche e ciò che in esse si mostra. È il caso de “La Mariée mise à nu par ses célibataires, même”[1] di Marcel Duchamp. In questa opera, una composizione eterogenea di materiali meccanici viene fatta corrispondere dal titolo ad uno scenario umano. Qui, in maniera estrema e paradigmatica insieme, la rappresentazione rivela brutalmente la sua funzione vicaria di elementi altri, costantemente estranei al campo della rappresentazione.
Come nello spostamento onirico, in cui il sogno risulta diversamente centrato e incardinato su personaggi e particolari lontani dal loro significato manifesto, così nella rappresentazione pittorica (e nell’espressione d’arte visiva tout court) coloro che agiscono in nome del segreto soggetto di un quadro (o di qualsiasi altra forma rappresentativa) appaiono impropri depositari di un contenuto celato, che solo per approssimazione finge di essere aderente alle figure effettivamente esposte sulla tela. In realtà la funzione vicaria dell’ immagine pittorica non è una modalità imperfetta di esporre un contenuto, si tratta semmai della maniera propria di dare in pasto alla coscienza il suo alimento. Poiché il mondo non è un oggetto dato, da attraversare distribuendo didascalie, e la strada che conduce alla realtà passa più dallo spaesamento, dal salto imprevisto, dall’invasione di campo che dalla completa e semplice corrispondenza tra aspetti noti e combacianti.
[1] Marcel Duchamp, “La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche”, opera composta di oli, vernici, foglio di piombo, filo di piombo e polvere tra i pannelli di vetro, 277.5 × 175.9 cm, 1915, Philadelphia Museum of Art.
Autodidasker
In evidenza: Composizione per spostamento dei ritratti di Pablo Picasso, Marcel Duchamp e Sigmund Freud.