Quello tematizzato da Lars von Trier e Thomas Vinterberg, attraverso la definizione del Dogma 95, è un vero itinerario di distruzione del cinema contemporaneo. Disgustati da Hollywood e ancor più dai tentativi falliti di rinnovamento etico della settima arte (dalla New Hollywood degli anni ’60 di Altman, Scorsese e De Palma, alla Nouvelle Vague francese) i due registi danesi ispirarono i loro film a un decalogo la cui intransigenza e volontà di rottura impressiona ancor oggi. Primi frutti di questo decalogo per un nuovo cinema anestetico – privo, cioè, di finzioni quali la ricomposizione in studio degli ambienti di scena, la presenza di filtri ottici e di stili di ripresa classici, di alienazioni temporali o geografiche – furono Festen (notevole film di Vinterberg sui ribollenti odî e le terribili verità celate sotto l’apparente compunto decoro di una ricca famiglia borghese scandinava) e Idioti (di Lars von Trier), entrambi presentati al Festival di Cannes – ovvero in uno dei luoghi di massima e colta espressione del potere cinematografico – nel ‘98.
Nato come esperimento sociologico, il film tenta di documentare un’utopia. Lo spunto della pellicola prende le mosse da una frase di Rudolf Steiner, secondo la quale gli idioti – i mongoloidi, i ritardati, afferma il regista danese, che mai è stato incline al politically correct – sarebbero un dono. Ma il cineasta danese, per bocca di Stoffer – il capo della comunità di idioti e uno dei protagonisti del film – va oltre e afferma che, in una società evoluta come la nostra, quegli individui, destinati anche solo poco tempo fa a soccombere perché inadatti alla vita, oggi, in un contesto di diffuso benessere (almeno in una certa parte di mondo), possono e devono diventare il simbolo di una nuova era, quella in cui gli idioti diventano la nuova avanguardia dell’umano.
Un’aspirazione all’idiotismo, dunque, estrema, paradossale, provocatoria che porta i protagonisti a fingersi tali in pubblico esercitando quella che definiscono “la ricerca dell’idiota interiore”. Questo significa spogliare l’essere umano di ogni suo costrutto tecnologico, di tutti gli apparati culturali e sociali che hanno reso la creatura più carente di eredità istintuali l’unica adatta alla vita, al tipo di vita che si è scelta. Un percorso millenario, come spiega Arnold Gehlen, che ha trasformato una originaria povertà in volontà di dominio, rilevando la natura ancipite del concetto di libertà – fatto fondamentalmente umano -, quale apertura autentica e inevitabile condanna. Nella comunità di idioti, filmata a spalla, senza filtro e senza alcuna cosmesi cinematografica (come prescritto dal Dogma 95) da Lars von Trier, l’uomo si sveste degli abiti del dominatore della natura, dimentica di aver disposto ogni cosa nel mondo nell’unica, megalomane e ridicola funzione del suo utilizzo, facendo della natura un campo minato, puntellato di richiami noti, rievocanti un diffuso “per me”. Così, riportata ad una originaria libertà, ad una condannata apertura senza possibilità di senso, la vita idiota, cioè l’esistenza rivelata nella sua intima deforme bellezza, entra prepotentemente negli occhi, nei sensi rivoltati e in tutta la rinnovata incapacità di categorizzare ciò che accade di queste creature nuove. Stoffen e i suoi compagni, primo gruppo di un’umanità nuovamente idiotizzata, riscoprono, con terrore e gioia attonita una forma di vita cruda, la meraviglia acefala dell’essere semplicemente presenti, totalmente idioti.
Presto, però, capiscono che un simile sconosciuto piacere non basta, devono diffondersi nella società reale, quella che li ha ghettizzati, per realizzare davvero il destino che li individua come moderni doni, vite angelicate da mettere alla testa del corteo umano. Devono, insomma, farsi vertice e non margine del consesso che li esclude per dare corpo ad una nuova idea di civiltà. Le resistenze, l’ostilità, del mondo abitato dai normali non si fa attendere, nel migliore dei casi acconsente temporaneamente ad assistere alla loro questua facendo di tutto – con malcelato orrore – per accelerare la loro eclissi. Lo smacco di questo rifiuto porta la strategia dell’integrazione a mutare in voglia di conquista, in imposizione ottusa, non recessiva della presenza degli idioti nel mondo. Non può non saltare agli occhi, allora, il paradosso rappresentato dal fatto che una maniera di esistere del tutto priva di protezione – quale quella degli idioti – tenta di farsi téchne toũ bíou, ovvero una sorta di sapere utile per la vita, per una vita nuova. È così che nell’ultimo, disperato tentativo di urtare lo schermo logico e ordinatore del mondo, l’idiotismo di questi sparuti personaggi tenta l’agguato alle cose e agli uomini: come strumento privo di senso e di tensione dominatrice, come antitesti apparente della téchne. La pratica quotidiana della strada che sgancia dalla normalità e lascia affiorare comportamenti inspiegabili, vagheggiamenti senza direzione, perdita di controllo sulla normale statura del corpo, si definisce anch’essa – incredibilmente – come un dispositivo tecnico, come un meccanismo funzionante sebbene in maniera del tutto individuale (idiosincratica). Ecco, dunque, che se diventare idioti significa sganciarsi da certe costruzioni simboliche e strumentali, d’altro canto, per raggiungere questo stato, occorre inventarsi un insieme di pratiche, stabilire un nuovo esercizio tecnico, sebbene articolato su un ordine di funzionamento personalissimo, non trasferibile ad altri. Sembrerebbe, quindi, che pur avendo individuato nell’idiotizzazione dell’esistenza la via di fuga dal pensiero tecnico questo lo ritroviamo presente come modalità di riattivazione del percorso che conduce ognuno a scoprire il proprio “idiota interiore”. Cercavamo una vita senza protezione e abbiamo scoperto la necessità di estendere il senso di una parola: téchne.
Sophie Make
In evidenza: Il certificato di aderenza al “Dogma” cinematografico firmato da Lars von Trier e da Thomas Vinterberg.