L’intelligenza del corpo

Quando Eugenio Barba, nei primi anni sessanta, lasciò l’Italia per iniziare le sue peregrinazioni nordiche, che lo portarono prima in Polonia (dove studiò e divenne amico di Jerzy Grotowski) poi in Norvegia, forse non immaginava di stare ripercorrendo – in altri luoghi e tempi – la strada esemplare di una certa forma di comunitarismo. Dopo aver rifiutato il destino familiare che gli chiedeva, come sacrificio personale, di rivivere il cammino paterno tra le fila dell’esercito, si raccolse insieme ad altri giovani attori, scartati dalle selezioni della Scuola Teatrale di Stato di Oslo, per fondare una nuova forma di esperienza scenica: l’Odin Teatret.

Proprio come Epicuro, fondatore dell’omonima scuola, in quanto straniero trovò non poche difficoltà a guadagnarsi la fiducia delle istituzioni e a ricavarsi uno spazio – anche e soprattutto fisico di prova – per il suo teatro. Solo dopo la messinscena del primo spettacolo – l’Ornitofilene di Jens Bjørneboe – fu invitato ad Holstebro per stabilirvisi con la sua compagnia. Lì, con un gusto tutto ellenistico per l’eclettismo, la riproposizione di saperi diversi e la rivalutazione di materiali eterogenei in vista di un fine in continua costruzione, in un costante squilibrato mantenimento, mise a punto un complesso training che ancora oggi costituisce la spina dorsale della scuola.

Sebbene sia improprio parlare di “scuola”, quando si pensa al gruppo di performer originariamente riunito da Barba, non è dubitabile che qualcosa venga appreso nel corso degli anni passati ad esercitare il corpo secondo la disciplina predisposta dall’autore cresciuto a Gallipoli (terra di un altro grande uomo di teatro del secolo scorso, Carmelo Bene). Ciò che si impara, però, non è facilmente definibile; non di certo in termini di competenze utili a completare il percorso di formazione professionale dell’attore. Non si insegna a interpretare un ruolo, né si impartiscono nozioni tecniche di rappresentazione, non avendo come criterio orientativo la verosimiglianza né come strumento di approssimazione la mimesi. Eppure, nonostante il rifiuto (o il disinteresse) per un orizzonte di ricerca professionale tendente a rifornire il mercato dell’intrattenimento di attori tanto più capaci quanto più neutri, inteso a dotare il corpo dell’attore di una serie di dispositivi automatici utili all’esemplificazione di un genere, tutta l’articolata congerie di esercizi si fonda sull’utilizzo di elementi desunti dalla tradizione pantomimica, frammisti con movimenti che provengono dal balletto e dalla ginnastica, dalla ritmica organica e dalla plastica corporea. Il saccheggio da queste pratiche non va però nella direzione dell’assimilazione (non dichiarata) di materiali che fanno ricadere l’esperimento dell’Odin nelle maglie larghe della formazione attoriale canonica; ciò che Barba e i suoi attori individuarono, nelle discipline fisiche più differenti, con un gusto tutto ellenistico per la collazione del diverso e la sua ritraduzione in una koinè corporea, fu un essenza comune, un insieme di forme attraverso cui disciplinare l’azione facendo emergere in ogni individuo (prima ancora che attore) il proprio “ritmo”.

Diversi sono gli indizi che ci comunicano come nel gruppo di lavoro dell’Odin non si trasmetta alcun sapere conchiuso e preformato. Innanzitutto l’assenza di maestri, di gerarchie prestabilite: tutti si aiutano e, semmai, i più anziani avviano soltanto i nuovi arrivati al training. Esiste, dunque, un programma di allenamento; una serie di esercizi costituitasi – come si diceva – mettendo insieme pratiche corporee provenienti da diverse discipline e accumulatasi nel tempo; non c’è però un vero programma. Non ci sono manuali, né sistemi teorici da imparare e riferire, non una struttura progredente secondo la scansione di precise tappe conoscitive. Tutto quello che c’è sono le varie forme di addestramento, attraverso le quali – quotidianamente e senza interruzione – disciplinare il proprio corpo e farvi sorgere, maieuticamente, una sorta di intelligenza. Quello che costituisce il cosiddetto “spettacolo” si origina, pertanto, per mezzo dell’esecuzione simultanea, da parte di tutti i performer, degli esercizi. È allora che il ritmo organico di ognuno comincia a sorgere e a manifestarsi come la maniera singolarissima – non avvicinabile ad alcun stereotipo recitativo – che ha un individuo di stabilire un rapporto di prossimità con la meccanica del proprio agire.

Dunque, nella comunità dell’Odin Teatret si entra non per diventare attori richiesti dall’industria dell’intrattenimento, ma per venire instradati in un territorio dimenticato, e conquistare una nuova dimensione di sé. Precisando i riflessi, rendendo perspicui gli istinti, fluidificando la dialettica del conflitto tra noto e insicuro, forma e liberazione, si vede sorgere accanto ad un ritmo organico un altro ordine spirituale. “Fatto da tutti e nello stesso tempo”, con questo motto, pur riassumendosi la metodica del training, non si dice che in tale modo ognuno, nella solitudine della propria motivazione, scopre nella costrizione di un orizzonte noto di gesti il modo per scegliere la via del superamento. E il corpo rompe i suoi argini solo diventando pensante, innescando – proprio tra le maglie dell’allenamento messo a punto da Eugenio Barba – l’energia che lo porta ad essere il conduttore cosciente del corto circuito tra azione e reazione. Nessun evento, o situazione lo condannerà all’inadeguatezza; costantemente impegnato nel dare conto attraverso se stesso all’inatteso, il corpo del performer sarà un corpo mutante, ma non in balia degli eventi bensì architettando la giustificazione adatta per il cambiamento. “L’allenamento è un incontro con la realtà che si è scelta” – dice il fondatore dell’Odin Teatret – ma il monito potrebbe suonare anche, nietzschianamente:“Metti te stesso in ogni tuo gesto, in modo da volere che ogni attimo torni per sempre, per essere di nuovo nelle tue mani quale sintomo di appropriazione”.

Gustaf Handers

In evidenza: La successione cinetica di uno dei famosi esercizi dell’Odin Teatret.