Le Fédéral

La prima figura che incontriamo nel romanzo di Raymond Roussel è la muta statua chiamata “il Federale”. Martial Canterel – il geniale inventore nella cui proprietà di Locus Solus è possibile ammirare alcune meraviglie surreali – la ricevette in dono dal noto viaggiatore Echenoz. Il monumentale feticcio, raffigurante un fanciullo sorridente con le mani offerenti, proveniva da una spedizione africana compiuta da Echenoz sulle orme del teologo arabo Ibn Batuta. La statua era il simbolo dell’unione delle tribù poste sotto la protezione di un grande re, Forukko. Composta da manciate della migliore terra coltivabile inviata dai federati, troneggiava all’ingresso della città di Timbuctù a protezione della comunità.

All’epoca della visita del nostro viaggiatore il regno era retto dalla regina Dhul Séroul, erede di Forukko. Mite e saggia come l’antenato, la regina era però vittima, a causa di violenti attacchi di amenorrea, di crisi di follia durante i quali si abbandonava alle peggiori nefandezze. Non sembrava esserci soluzione alla malattia, tutti gli sforzi dei medici si erano dimostrati vani. Non rimaneva che pazientare. Tuttavia, benché il popolo la amasse, sarebbe potuta scoppiare una rivolta. Un giorno, però, accadde l’inatteso. Durante un tremendo uragano, che scosse la regione e fece ingenti danni a Timbuctù, successe qualcosa al Federale. Sulla statua, rimasta intatta al passaggio della tempesta, si vide sbocciare il virgulto di una piantina, proprio sul palmo della sua mano. Subito si interpretò quel segno come il rimedio alla malattia della regina. I fiori gialli della pianta, seccati e somministrati alla sovrana, ne garantirono la guarigione immediata. Non osando profanare la pianta miracolosa, i sudditi non coltivarono il vegetale altrove che sul palmo della mano del Federale.

Questa storia, se non si conoscesse il gusto rousseliano per l’inatteso e il suo procédé compositivo, potrebbe passare per aneddotica edificante, mentre è invece il frutto di un tranello teso al linguaggio, un metodo grazie al quale si rende possibile l’emersione dell’inconscio linguistico.

Ecco alcuni esempi sull’applicazione del procédé all’interno del testo.

Forukko deriva il suo nome dalla dislocazione fonetica delle parole fort-riche: l’accostamento del loro senso suggerisce all’autore l’invenzione del mitico re che unifica le tribù indigene.

Dhul Séroul riecheggia deuil (il dolore) e se roule (che viene e va, o che contorce), alludendo alle periodiche crisi della regina.

Infine, Fédéral à semen contra = fait de terres alliées (fatto di terre unite insieme)

  1. a) a ses mains encontre (ha le sue mani incontro)
  2. b) a semence en contrée (ha semenza in contrada)

Per cui deriva “…una statua fatta della terra proveniente dai suoli delle tribù riunite…protende le braccia, in un’invisibile offerta…” le mani della statua sembrano, cioè, pronte ad accogliere la semence proveniente da contrade sconosciute.

Il processo non è sempre semplicissimo da comprendere, la scomposizione delle parole e la loro deviazione verso un nuovo accostamento significante; diviene spesso difficile tenere le fila del clinamen che porta un semplice objet trouvé a diventare traccia di una narrazione impensata. Certo non era nelle intenzioni di Roussel raccontare la storia di un feticcio indigeno e del miracoloso ritrovamento di una pianta medica sul suo palmo, questa storia gli è piombata addosso, come un rabdomantico ritrovamento affiorato dal processo di slittamento linguistico del suo procédé. Il linguaggio, passato al setaccio del suo metodo, tende a migrare verso altre zone del senso, a riaggregarsi intorno ai cardini del mondo che scorre invisibile accanto al nostro, che Roussel aveva imparato ad evocare cercando sempre un’altra lingua nella parola.

La Redazione

In evidenza: Una mappa di Locus Solus.