Il racconto è un letto di Procuste

“the object of my writing would not be so much the elevation of the colored people as the elevation of the whites”

charles chesnutt (1880)

La fama di Charles Waddell Chesnutt, oggi unanimemente considerato come il primo grande narratore afroamericano, fu tanto breve quanto sintomatica dell’impasse sociale e culturale in cui versavano gli Stati Uniti alla fine del diciannovesimo secolo. La carriera letteraria di quest’autore misto ma dall’aspetto praticamente bianco, che non aveva mai voluto nascondere la sua appartenenza etnica (un “nero volontario” lo ha definito Alessandro Portelli),[1] subì infatti un repentino arresto nel momento in cui decise di affrontare in maniera più esplicita il tema spinoso del razzismo; ciò in un’epoca segnata da un inquietante ritorno della restrizione dei diritti civili (incarnata nelle cosiddette Jim Crow laws) che gli afroamericani avevano ottenuto con la Guerra Civile. Chesnutt aveva acquisito una certa visibilità pubblica grazie al riconoscimento e la promozione di un influente critico coevo come William Dean Howells. Nel recensire l’opera prodotta da lui prodotta (due raccolte di racconti, The Conjure Woman e The Wife of His Youth and Other Stories of the Color Line (entrambe del 1899 e seguiti da una breve biografia di Frederick Douglass e dal romanzo The House Behind the Cedars del 1900), Howells aveva utilizzato toni più che laudatori: a suo parere, Chesnutt vedeva e mostrava i suoi personaggi “in maniera molto nitida ed equa”, lasciando al lettore il compito di “immaginare i sentimenti [dell’autore] nei loro confronti”; egli inoltre era in grado di soffermarsi su ogni punto critico ‒ tragico, comico o drammatico che fosse ‒ con una tale delicatezza che sarebbe stato veramente difficile scegliere il migliore tra tutti gli “effetti [da lui] mirabilmente resi”. Riteneva inoltre che i racconti di Chesnutt fossero “notevoli rispetto a molti, rispetto alla maggior parte dei racconti prodotti da persone interamente bianche, e [che sarebbero stati] meritevoli di un riconoscimento straordinario, non fossero [stati] l’opera di un uomo non interamente bianco”[2] ed erano da considerarsi paragonabili alle opere di Guy de Maupassant, Ivan Turgenev e Henry James o di scrittrici come Sarah Orne Jewett e Mary Wilkins Freeman.[3] Chesnutt, al pari dei talenti summenzionati, era riuscito a porre il personaggio al centro della sua concezione narrativa. La sua produzione migliore, secondo Howells, era quella inclusa raccolta Stories of the Color Line, quegli “studi del mondo di mezzo”, così vicini alla sua esperienza di “mulatto”, in cui era riuscito a trovare un universo umano comune tra bianchi e neri: “Nelle loro cerchie essi hanno le nostre stesse ambizioni e i nostri stessi pregiudizi; fanno intrighi, cedono e strisciano e sono snob, come noi, sia gli snob che snobbano, che quelli che vengono snobbati.”[4]

[1] Charles W. Chesnutt, La sposa della giovinezza, a cura di Alessandro Portelli, Venezia: Marsilio, 1991, p. 14.

[2] W.D. Howells, “Mr. Charles W. Chesnutt’s Stories”, The Atlantic Monthly, 85 (maggio 1900), 700, citato in Henry B. Wonham Charles W. Chesnutt: A Study of the Short Fiction, New York: Twayne Publishers, 1998, p. 113-116. La traduzione è sempre di chi scrive, tranne ove diversamente specificato. Su Howells e Chesnutt cfr. William L. Andrews, “William Dean Howells and Charles W. Chesnutt: Criticism and Race Fiction in the Age of Booker T. Washington”, American Literature 48.3 (1976), pp. 327-339. Andrews è anche autore di uno dei più influenti studi sullo scrittore afroamericano: The Literary Career of Charles W. Chesnutt (Baton Rouge & London: Louisiana State University Press, 1980). Sull’importanza di Chesnutt nella storia letteraria americana cfr. Eric Sundquist, To Wake the Nation: Race in the Making of American Literature, Cambridge: Harvard University Press, 1994, pp. 271-454.

[3] Ibidem.

[4] Howells in Wonham, p. 115.

Il brano è tratto dall’introduzione a “Il Procuste di Baxter e altri racconti“.

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