Roussel, una vita immaginata

Nato a Parigi il 20 Gennaio 1877, figlio del maggior agente di cambio dell’epoca e di una ricca ereditiera – una morfinomane iperprotettiva alla quale fu legato per tutta la vita -, nell’infanzia – disse – realizzò la felicità perfetta. All’età di 15 anni entrò al Conservatorio nazionale di Parigi per studiare pianoforte, riconoscendo forse nella poesia una variante della musica. Alla morte del padre, nel 1894, ereditò una fortuna colossale. Libero dall’obbligo di doversi guadagnare da vivere divenne scrittore. Scrisse molto di luoghi che non visitò mai o che mai, al di fuori della sua immaginazione, esistettero. La sua vita fu costellata di viaggi, durante i quali ostentava il disinteresse più totale nei confronti del mondo che si apriva fuori della sua vettura – una lussuosa roulotte dotata di ogni comfort, ammirata perfino da Pio XI e Mussolini, che visitarono l’attrazione-Roussel quando fu di stanza a Roma. Roussel fu un uomo profondamente deluso dalla cosiddetta realtà, da un mondo che non gli tributò mai il dovuto omaggio, che non riconobbe in lui le stimmate di un Jules Verne redivivo.

Una biografia realistica di Raymond Roussel potrebbe quasi arrestarsi qui, menzionare semmai i suoi numerosi fallimenti editoriali e teatrali, la sua sessualità scandalosa, il suo amore non corrisposto per la fama, non molto altro, essendo impossibile dire di più sulla base di una così singolare assenza di documenti, di vita esteriore.

Una biografia diversa, tutta interiore, fatta di fantasmagorie e sogni impossibili, di paure e malinconie improvvise, sarebbe invece visibile guardando in filigrana tra le pagine dei suoi scritti, o nel primo volume dell’opera De l’Angoisse à l’Extase, che al suo “caso” dedicò il noto psichiatra parigino Pierre Janet. Una simile biografia comincerebbe nel giugno 1896, quando Roussel iniziò la stesura de La doublure (Il sostituto), una composizione in versi alessandrini sul carnevale di Nizza. Durante la scrittura di quest’opera Roussel rivelò al medico che lo aveva in cura – Janet, appunto – di sentirsi come invaso di luce, esaltato dall’idea della gloria che lo attendeva. Non è chiaro, in realtà, se la causa di questa cura fosse lo stato di straordinario entusiasmo che accompagnava la febbre creativa di Roussel, e preoccupava terribilmente la madre, o, come vogliono altri (Michel Leiris, n.d.r.), l’essere stato sorpreso in intimità con un servitore. Il lavoro poetico, dal quale Roussel si distoglieva appena, lo prendeva come un’esaltazione irrefrenabile; in quei momenti l’autore era sicuro di provare quello che avevano dovuto provare Shakespeare, Hugo, Dante. Ciò che più sorprende è che durante questa alterazione psichica Roussel scrivesse poco, restando per lo più assorto nelle sue fantasticherie. Questa esaltazione mistico-letteraria escludeva ogni frequentazione col reale, assumendo per questo i connotati della felicità assoluta. La gloria fu la via rousseliana al divino.

Purtroppo, il quadro idillico di questa biografia spirituale fu rovinato dall’ineludibile momento di confronto con la realtà. Una volta pubblicata l’opera, non riscontrando il successo sperato, Roussel cadde in una spaventosa depressione malinconica, uno stato ossessivo maniacale di orrore per gli uomini, stimati come insensibili esseri incapaci di cogliere il suo genio. Anche le altre sue opere passarono inosservate. I ripetuti insuccessi resero ancor più delicato il suo stato psico-fisico. Soggiornò, per calmare i nervi, in diverse cliniche svizzere. Viveva in maniera sempre più ritirata, non volendo mostrarsi al pubblico che lo misconosceva, né volendo rendere nota la sua omosessualità. Lo scotto dei fallimenti editoriali, il sentimento persecutorio nei confronti della folle, scatenarono in lui una violenta agorafobia. La vanità, però, poté quello che i nervi e la timidezza vietavano. Comprò col denaro la notorietà effimera del bel mondo parigino; dichiarò perfino la sua omosessualità, soffiando a Proust il grande amore, il musicista venezuelano Reynaldo Hahn. Eppure la gloria non arrivava, continuò a pubblicare – a sue spese – le proprie opere: nel 1904 uscì La Vue, una dettagliata incredibile descrizione del contenuto fantasmagorico raccolto all’interno di una palla portapenne. Nel 1909 fu la volta di Impressions d’Afrique, romanzo nel quale si narrano le vicende di alcuni naufraghi catturati da una tribù indigena e sottoposti a prove singolari prima di essere liberati. In questo testo Roussel esordì con suo procédé, il metodo compositivo che poi perfezionerà scrivendo Locus Solus. Il piacere, sottilmente profondo, derivante dalla scoperta di una regola di scrittura – quella che rivelerà nel testo Comment j’ai écrit certains de mes livres – non lo mise al riparo da un nuovo richiamo della fama. Si lasciò convincere da Edmond Rostand a mettere in scena (ovviamente a sue spese) le Impressions: fu un nuovo insuccesso. Nel 1911 morì l’amata madre Marguerite, fu un colpo tremendo, al quale reagì ancora una volta con notevole sprezzo del reale: il corpo venne imbalsamato e Roussel fece includere nel coperchio della bara un oblò di vetro per continuare a contemplarne il volto. Nell’anno del primo conflitto mondiale iniziò la stesura di Locus Solus, era il 1914. Mai testo fu più lontano dalla storia e dal tempo degli uomini. Dopo la morte della madre Roussel divenne ancor più eccentrico e la sua vita più ritirata. Nel ’20 iniziò un giro del mondo sui generis. Lui che osannava Verne, toccò i principali continenti uscendo a malapena dalla sua stanza d’albergo. La crisi del ’29 lo rovinò quasi, ma non riuscì a impedirgli di continuare a finanziare la sua opera né di partecipare, quale munifico mecenate, ai più interessanti progetti culturali del suo tempo. A lui Michel Leiris si rivolse per finanziare la spedizione Dakar-Dijbuti da cui nascerà l’Afrique Fantôme.

Morì, dopo ripetuti tentativi di suicidio, per un’overdose di barbiturici il 14 Luglio 1933. Roussel era ormai da anni dipendente da diverse droghe, che dosava seguendo complicati calcoli per produrre nel suo animo il gusto effetto di scollamento dal mondo. Ormai non scriveva più: l’esaltazione creativa di cui soffriva al tempo dei suoi capolavori ignoti non lo visitava più. Per suscitare quello stato di luminosa estasi non ebbe mai bisogno di droghe, queste vennero dopo quando la tragedia del fallimento fu assodata e non più rifiutabile. Morì in una lussuosa stanza dell’Hôtel des Palmes, a Palermo. Si era in piena epoca fascista, qualcuno a Parigi festeggiava la presa della Bastiglia, ma la realtà nella singolare vita di R.R. resta sempre un po’ lontana, sullo sfondo.

La Redazione

In evidenza: una foto di Raymond Roussel all’età di diciannove anni.