Ettore Ciccotti, il pensiero del forse

Su Ettore Ciccotti poco o nulla è stato scritto, e il silenzio sul suo conto non è stato del tutto casuale. La sua figura, per certi versi paradossale, e il suo contraddittorio profilo hanno finora scoraggiato studi sistematici. Definitosi in vita “un solitario di una terra di solitari”, proprio la solitudine, il silenzio e un certo mistero hanno continuato ad avvolgerlo per molto tempo dopo la sua morte. Nella necessità di fare luce su un autore dimenticato troppo in fretta, ha indubbiamente giocato un certo ruolo il desiderio di abbracciare una sfida scientifica di non poco conto. Perché per individuare Ciccotti è necessario uno sguardo composito, pluridisciplinare, non comunemente praticato proprio per la sua difficile attuazione, perché è arduo tenere i fili di molteplici saperi non temendo una certa “deriva conoscitiva”. Ma un personaggio imprevedibile come lui, mosso da molteplici interessi e talenti, non che poteva richiedere un simile azzardo scientifico. Ciccotti appartiene, infatti, a quella schiera di personaggi “socratici”, ovvero atopici, mai a proprio agio in un posto o in una definizione esclusiva. Sempre in grado di mettere in difficoltà l’interlocutore, come il biografo ufficiale, con le sue repentine virate di idee e prospettive; un uomo in grado di metterci davanti a una diversa concezione dell’individuo e delle sue risorse. L’indagine sulla sua vita, sulla sua statura di uomo di studi e di passioni civili, ha dunque richiesto procedure atipiche, le stesse di cui, tra l’altro, faceva uso per portare notevoli scossoni all’ambiente accademico e alle forze politiche al potere – che gli garantirono, per inciso, un ostracismo pressoché cronico e bipartisan. Gli storici di professione potranno pertanto giudicare eterodosse le forze di analisi utilizzate in questo saggio, che di Ciccotti esplora le diverse “carriere”; ma è facendo ricorso all’apporto di altre discipline umanistiche – alla filosofia, alla psicologia, alla sociologia e a una metodologia del possibile, del “forse” – che gli autori del libro Ettore Ciccotti. Sud e politica, tra realismo e utopia (Giuseppe Pascarelli e Giuseppe Campanelli, n.d.r.) hanno creduto di poter offrire una raffigurazione verosimile di un uomo intransigente e appassionato quale egli fu.

In quest’ottica che è stata tentata una mappatura della polimorfa personalità di Ettore Ciccotti: storico, politico, meridionalista e marxista dalle mille vite. Fu docente universitario a Messina, esule in Svizzera; interprete, come pochi, della temperie politica e culturale che caratterizzò gli ultimi decenni del XIX sec. e i primi del XX sec. fino all’avvento del fascismo. Il periodo storico in cui egli visse, infatti, fu tra i più drammatici della vita del nostro Paese che si trovò, a pochi decenni dal compimento del suo processo unitario, al centro di una grave crisi economica che rese evidente la debolezza strutturale della sua economia, accentuandone gli squilibri delle diverse aree. Le rivolte sociali che ne seguirono, la nascita del partito socialista e la massiccia emigrazione provocarono risposte autoritarie che all’interno ridussero gli spazi già ridotti di democrazia, e, all’esterno tentarono di superare i problemi affidandone la risoluzione alla fallimentare politica coloniale. L’ipotesi di modernizzazione del Paese portata avanti dal governo Giolitti non produsse, infine, quei risultati che era lecito attendersi e non riuscì a dare un più solido fondamento al partito liberale nei confronti dei nuovi partiti di massa, né a reggere l’urto di quell’ondata di irrazionalismo, di nazionalismo, di ideologie non democratiche che doveva trascinare l’Italia nella Prima guerra mondiale e quindi consegnarla al fascismo.

Questo il clima nel quale maturò l’esperienza umana e politica di Ettore Ciccotti di cui il saggio cerca di seguire gli sviluppi e comprendere le contraddizioni. Ciccotti, però, non fu solo un politico, fu, forse, soprattutto uno storico e le due dimensioni seguirono le medesime curvature, costituirono un composto stabile destinato a caratterizzarne l’intera parabola esistenziale. Storia e politica rispondevano, per Ciccotti, alla medesima finalità: quella di riannodare l’intera dimensione del tempo, non solo passato e presente, ma presente, passato e avvenire. La dimensione utopica, del progetto, dell’istanza di cambiamento, che coinvolge contemporaneamente cultura e politica, viene così a collocarsi nell’immanenza del presente, rinunciando, secondo le indicazioni dello stesso Marx, ad ogni affermazione dogmatica, per costruirla a partire dalla critica al vecchio mondo. L’adesione al socialismo, per Ciccotti, fu, dunque, il risultato di una tensione ideale, di un’immediata “simpatia” per il mondo degli umili, di un’analisi impietosa, perché scientifica, della realtà dello sfruttamento, ma anche della sua convinzione di lottare per una società in cui fossero garantite contemporaneamente libertà ed eguaglianza. Il pensiero e l’azione politica di Ciccotti sono estremamente complessi e la complessità risiede nella compresenza in lui di una duplice esigenza: quella, da un lato, di considerare, come storico e come politico, l’unità dei fenomeni sociali, delle strutture dinamiche, dei complessi unitari, delle connessioni strutturali frutto di relazioni complesse tra fattori economici e culturali, e nello stesso tempo non rinunciare all’individualità, alle parti di cui quella totalità si compone, agli uomini in carne ed ossa che fanno la storia.


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